PIERLUIGI BERSANI E' IL NUOVO SEGRETARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO

PIERLUIGI BERSANI E' IL NUOVO SEGRETARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO
CON IL 53%

ENZO AMENDOLA E' IL NUOVO SEGRETARIO REGIONALE DEL PARTITO DEMOCRATICO

PRIMARIE DEL 25 OTTOBRE DEL PD NEL COMUNE DI VIETRI

VOTANTI 657
BIANCHE 6
NULLE 6
ASSEMBLEA NAZIONALE (scheda celeste)

CAMPANIA PER BERSANI 292
CON BERSANI VERSO IL FUTURO 113
DEMOCRATICI CON DARIO FRANCESCHINI 198
CON MARINO SEGRETARIO 26

VOTANTI 657
BIANCHE 11
NULLE 2
SOLO VOTO AMENDOLA 2

ASSEMBLEA REGIONALE (scheda rosa)
ESSERE DEMOCRATICI CON BERSANI E AMENDOLA 7
LISTA ITINERARIO DEMOCRATICO DAVVERO 18
RIFORMISTI CON BERSANI (Franco Benincasa) 405
PER LA CAMPANIA CON AMENDOLA 47
DEMOCRATICI CON DARIO FRANCESCHINI 146
CON MARINO SEGRETARIO 19

25 OTTOBRE: VOTA IL SEGRETARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO

Domenica 25 ottobre 2009, dalle ore 7.00 alle ore 20.00 presso l'Aula Consiliare del Comune di Vietri sul Mare, si terranno le primarie del Partito Democratico, il Sindaco Franco Benincasa che appoggia la candidatura di Pierluigi Bersani (scheda blu, lista CAMPANIA PER BERSANI) a livello nazionale e Enzo Amendola (scheda rosa, lista RIFORMISTI CON BERSANI) a livello regionale, è a sua volta candidato per l'ASSEMBLEA REGIONALE nella lista RIFORMISTI PER BERSANI (scheda rosa).
Per votare, bisogna essere elettori del PD, occorre essere residenti nel Comune di Vietri, aver compiuto il 16° anno di età e munirsi di carta d'identità e/o tessera elettorale.

L'INTERVENTO DI BERSANI ALLA CONVENZIONE NAZIONALE DEL 11 OTTOBRE 2009

L'INTERVENTO DI BERSANI ALLA CONVENZIONE NAZIONALE DEL 11 OTTOBRE 2009
DIAMO UN SENSO A QUESTA STORIA

CONGRESSO PD A VIETRI SUL MARE: VITTORIA DI PIERLUIGI BERSANI

Domenica 27 Settembre 2009, si è svolto presso l'Aula Consiliare del Comune di Vietri, il Congresso del Partito Democratico con la schiacciante vittoria di Pierluigi Bersani i dati:

Aventi diritto n. 184
Votanti n. 138
Nulle n. 2

VOTAZIONE PER L'ELEZIONE DEI DELEGATI ALLA CONVENZIONE PROVINCIALE

Pierluigi Bersani voti 133
liste collegate
Vietri per Bersani (area Ds-Terra e Libertà) voti 102
Letta per Bersani (area Margherita) voti 31

Dario Franceschini voti 1

Ignazio Marino voti 2

SELEZIONE DEI CANDIDATI A SEGRETARIO REGIONALE DELLA CAMPANIA

Vincenzo Amendola (Mozione Bersani) voti 128

Leonardo Impegno (Mozione Franceschini) voti 6

Francesco Vittoria (Mozione Marino) voti 4

BERSANI PER IL SUD

BERSANI PER IL SUD
In politica si deve avanzare per merito, andando a distribuire volantini, facendo comizi davanti a poca gente: quando si matura un’esperienza del genere, si può anche andare a Ballarò o avere un sito Internet, senza dimenticare che la politica è guardare la gente negli occhi

VIENI CON NOI...

VIENI CON NOI...
...INIZIA IL FUTURO

IL MIO SEGRETARIO DEL PD E':

LE MIE SIMPATIE PER:

mercoledì 5 agosto 2009

IL RITORNO DI SPEZZAFERRO

IL RITORNO DI SPEZZAFERRO
31 Luglio 2009
Intervista di Maurizio Belpietro - Panorama
Silvio Berlusconi, il ministro GiulioTremonti, la politica economica e quella estera del governo: Massimo D’Alema attacca a tutto campo. Ma soprattutto disegna il Partito democratico che sogna dopo il congresso. Senza Dario Franceschini.
Per anni l’ho chiamato Baffino, Leader Massimo, Spezzaferro, Max il Gelido, Dalemix, Dalemone quando voleva inciuciare con Silvio Berlusconi, Minimo D’Alema quando l’hanno messo da parte nel suo stesso partito. In tutto fanno una mezza dozzina di soprannomi. Di alcuni sono responsabile per intero con i colleghi del Giornale, che ogni giorno dovevano inventarsi un modo per chiamare il leader della sinistra senza ripetersi. Di altri la paternità è dei suoi compagni di militanza. Amici o ex amici, anzi quasi sempre ex, di partito. Di certo nessuno dei leader politici italiani ha mai avuto una sfilza così lunga di nomignoli. Non Craxi, che pure dalla stampa non era amato e che infatti si vide appiccicare l’epiteto di Cinghialone, copyright Antonio Di Pietro. Non Andreotti, che come Bettino era il bersaglio dei cronisti, chiamato Belzebù o Divo Giulio.
Il primato per numero di soprannomi a suo modo segnala dunque una certa grandezza di Massimo D’Alema, ex segretario dei Ds, ex presidente del Consiglio, ex ministro degli Esteri e, soprattutto, ex candidato alla presidenza della Repubblica, trombato all’ultimo, quando già intravedeva il Colle, dai nemici ma forse anche dagli amici. Ma pur essendo un ex di molte cose, di sicuro D’Alema non è l’ex uomo forte della sinistra, o almeno del maggior partito della sinistra. A lui ancora fanno capo molti funzionari e dirigenti del Pd. È lui il portatore d’acqua, anzi di voti, e quanti lo vedremo presto, di Pier Luigi Bersani. Lui che tira le fila di questa difficile battaglia congressuale del Partito democratico che si concluderà, con l’elezione del nuovo segretario, il 25 ottobre.
«Onorevole, vogliamo partire da qui?» gli chiedo nella sua stanza di presidente di Italianieuropei, la fondazione che vuole indicare la via riformista alla politica. Ma D’Alema, offrendomi dei cristalli di cannella e zenzero, una dolcezza brasiliana che infiamma il palato, preferisce prenderla alla larga. «Meglio la crisi, è più preoccupante» dice con l’aria rilassata di uno che pensa di avere già vinto. E quindi dalla crisi partiamo.

Cosa la preoccupa?
Constatare quanto poco sembra preoccuparsi il governo e forse anche una parte dell’opinione pubblica. Non mi riferisco solo a una crisi estremamente profonda, che fa di noi, insieme alla Germania e al Giappone, uno dei tre paesi più colpiti al mondo. C’è qualcosa di più: questa crisi ha accelerato i cambiamenti degli equilibri mondiali. Per circa 60 anni l’Italia ha fatto parte del gruppo di paesi che erano detentori della ricchezza mondiale, ma ora sta cambiando radicalmente lo scenario. E il nostro Paese, come la quasi totalità di quelli europei, si ritroverà in pochi anni non più tra i numeri uno.

Lei vaticina un’Italia in zona retrocessione.Rischia di finire tra il 15° e il 20° posto. In ogni caso in discesa. E non sono io a dirlo, ma le previsioni di diversi istituti internazionali. La nostra classe dirigente sembra più preoccupata di vedere in quale università straniera mandare i propri figli invece che di cercare una soluzione. Evidentemente c’è una borghesia italiana che pensa di poter sopravvivere al declino del Paese. Come se una parte di italiani pensasse di poter avere un destino separato da quello dell’Italia. Qui la crisi non è solo del sistema politico, che è evidentissima, ma anche della classe dirigente più in generale.

Per lei ovviamente è tutta colpa dell’attuale governo.
No. Io considero Silvio Berlusconi una manifestazione del declino del Paese. Rappresenta questa situazione, più che esserne responsabile. È una situazione che viene da lontano, ma impressiona l’assenza di una risposta, di una strategia forte. L’attuale governo si muove con l’idea che prima o poi la crisi passerà. È Giulio Tremonti l’ispiratore più robusto di questo atteggiamento. Il suo motto è sopravvivere fino a quando le cose non si rimetteranno a posto.

Lei accusa il governo di tirare a campare, l’opposizione mi pare invece che stenti a campare.
L’appannarsi del più grande partito d’opposizione fa sì che questa strategia del galleggiamento possa apparire come l’unica possibile. Non è in campo un’alternativa forte, questo è il problema serio del Pd.

Perché?
Per il modo in cui si è sviluppato questo progetto. Il problema principale è stato tagliare i ponti con una tradizione piuttosto che costruire un’alternativa credibile. Si è pensato che il problema fosse quello di combattere contro i partiti da cui il Pd proviene, contro le loro tradizioni e una parte dei loro dirigenti, anziché quello di costruire il nuovo partito in rapporto al Paese e alle sue esigenze. Anche il meccanismo congressuale è pensato come se esistessimo solo noi: una gigantesca conta interna, che avviene in due fasi e produce una stagnazione lunga mesi. Un danno per il Paese.

Com’è possibile che gli eredi di partiti organizzati non abbiano trovato uno statuto adeguato? Dov’eravate quando lo si approvava?
Beh, io mi occupavo della politica estera del Paese, non c’ero fisicamente. E poi è prevalsa un’idea di partito leaderistico, dove conta di più il leader che gli iscritti. Una scelta rispettabile dal punto di vista politico-culturale, ma sbagliata. Su quel terreno c’è un modello ineguagliabile: Berlusconi. Un modello costruito con ben altri mezzi e con una struttura molto potente. Noi invece abbiamo indebolito l’unica struttura che avevamo: il partito.

Perché Pier Luigi Bersani dovrebbe riuscire dove ha fallito Walter Veltroni?
Bersani propone un cambiamento di rotta, quanto mai necessaria per un partito che in 20 mesi ha collezionato sconfitte così gravi. Trovo molto più ardito chi invece dice: andiamo avanti come se nulla fosse.

Le leggo una frase di Dario Franceschini: «Chissà perché ogni volta che Massimo dice qualcosa ci si chiede dov’è la fregatura». Perché ce l’ha con lei?
Non lo so, dovrebbe chiederlo a lui. Franceschini io l’ho portato al governo del Paese, come sottosegretario con l’incarico di occuparsi delle riforme costituzionali. Sono dispiaciuto per questa continua polemica di carattere personale. Il segretario ha voluto caratterizzare la sua candidatura innanzitutto contro quelli che c’erano prima e il risultato paradossale è che tutti quelli di prima lo sostengono, salvo il sottoscritto. Questo, ripensandoci, fa ritenere che ci si rivolgesse contro una sola persona.

Si è chiesto perché tutti gli ex stanno dall’altra parte?
Normalmente, sostenere il segretario fa parte della tradizione. Quasi tutto quello che io chiamo con molto rispetto l’apparato centrale è schierato dalla parte di Franceschini. È un risultato curioso per chi si è presentato come massima espressione del nuovo contro il vecchio.

Il congresso del Pd mi sembra uno dei più aspri che io ricordi nella storia della sinistra.
Dove? Io non vedo tutta quest’asprezza.
Lei dice che in queste divisioni non c’è nulla di personale: neanche con Veltroni?
Non ho nulla contro Veltroni.

Vi combattete da 15 anni…
Non è vero. Abbiamo intensamente collaborato per lunghi periodi. Quando sono diventato segretario del partito, la prima cosa che ho fatto è stata quella di proporre Veltroni per affiancare Romano Prodi.

Voleva levarselo di torno…
No, era un riconoscimento del suo ruolo. Così come quando andai a Palazzo Chigi lo proposi segretario del partito. E anche quello non era obbligatorio. E pure quando lo sollecitai a candidarsi alla segreteria del Pd e l’ho votato. Vorrei io avere dei nemici così. Abbiamo avuto anche momenti di divergenze e di confronto, ma per ragioni politiche, non personali.

Con il senno di poi fu uno sbaglio proporre a Veltroni la guida del Pd?
Era la scelta giusta in quel momento. Sono dispiaciuto perché non ha ottenuto i risultati sperati. Ha avuto un’opportunità e l’ha usata male. Ma le critiche con il senno di poi non valgono nulla.
(Squilla il telefono. «Aaah, Ignazio… sono impegnato in un’intervista. Ti richiamo io». Si scusa: «Era Ignazio Marino»).

Era proprio l’Ignazio a cui stavo pensando… Ha visto la storia delle note spese di Pittsburgh? «Libero» dice che c’è il suo zampino anche in questa vicenda. La descrivono come il regista di ogni complotto.
Come può notare, la vittima del complotto è un mio carissimo amico e ci sentiamo spesso. Se hanno il coraggio di scriverlo apertamente, li denuncerò e mi risarciranno.

Con i giornalisti ha un rapporto difficile.
Ottimo. Ma con quelli per bene.
Quand’era presidente del Consiglio li definì iene dattilografe.
Quella citazione era uno scherzo: «Iene dattilografe al servizio dell’imperialismo». Era una citazione di Stalin. I giornalisti colti e intelligenti capiscono e ridono. Gli altri no. Ma non è colpa mia.

Franceschini vuole gli immobili dei Ds.
So che è stata creata una fondazione che detiene gli immobili a garanzia del debito nostro che non abbiamo caricato sulle spalle del Pd. Protagonista di questa decisione fu Piero Fassino. Se Franceschini vuole contestare la decisione, ne parlino fra loro. E se vuole il patrimonio, si prenda anche i debiti.

Dicono che lei voglia candidare Pier Ferdinando Casini come futuro premier, ripetendo l’esperienza dell’Ulivo, ma con Casini al posto di Prodi.
In un momento così serio della storia d’Italia, il dibattito politico imperniato sul pettegolezzo e le malignità è un segnale preoccupante. Non ci sono altri paesi ridotti in questo modo.

Ma all’alleanza con Casini ci pensa?
Certamente. Un centrosinistra serio, rinnovato e credibile deve riunire le forze che oggi sono all’opposizione. Ritengo che si dovrebbe cambiare la legge elettorale con un sistema di tipo tedesco, che consenta a ciascun partito di presentarsi con il suo profilo, evitando le ammucchiate elettorali che hanno caratterizzato il bipolarismo italiano in modo non positivo, spingendo, col premio di maggioranza, ad alleanze che o sono incoerenti o esaltano il peso delle forze minori. Basta vedere cosa sta succedendo con la Lega: determina le scelte del governo pur avendo un rispettabilissimo, ma insufficiente, 10 per cento dei voti. È un effetto paradossale che avveniva anche con il governo di centrosinistra.

E chi fa il candidato premier della coalizione?
Il problema per ora non si pone. In Germania normalmente diventa capo del governo il candidato del partito che raccoglie più voti. Se dovesse permanere l’attuale sistema basato sulle coalizioni, credo che il candidato dovrebbe essere scelto con primarie aperte all’interno della coalizione. Tuttavia ritengo rischioso un sistema come l’attuale, ovvero una forma di presidenzialismo di fatto. Siamo un Paese anomalo: abbiamo una democrazia parlamentare ma la gente vota per il capo del governo.

Però nel passato lei era per l’elezione diretta del premier.
Ero favorevole in particolare all’elezione diretta del presidente della Repubblica.

Questa è una sua intervista al «Corriere della sera» di 10 anni fa: dice che ci vuole l’elezione del premier.
Altri tempi. Inseguendo il mito dell’elezione diretta del governo abbiamo perduto persino il diritto a eleggere il Parlamento. Nei sistemi presidenziali vi sono parlamenti autorevoli che bilanciano il potere del presidente, come negli Stati Uniti. Da noi invece uno vota la lista Berlusconi e Berlusconi nomina chi vuole. Così abbiamo deputati che sono accompagnatori del capo. Un parlamentare eletto in questo modo che autonomia può avere?

Nel 1997 candidò Antonio Di Pietro nel Mugello in quota Ds, creando il più pericoloso concorrente del Pd. Pentito?
Di Pietro è una personalità politica. Fu Berlusconi a proporgli di fare il ministro dell’Interno nel 1994. Poi Prodi nel 1996 lo nominò ministro dei Lavori pubblici. Io sono arrivato terzo. Di Pietro si dimise perché fu oggetto di indagini giudiziarie. Io, che sono un sincero garantista più di quanto lo sia lui, gli fui vicino e poi gli proposi di candidarsi alle elezioni.

Con il senno di poi fu un errore o no associarlo al centrosinistra? Non mi dica che pensa che l’Idv sia di sinistra.
È un’epoca di strani cambiamenti. Cos’era la Lega?

Lei disse che era una costola della sinistra.
No, del movimento operaio, ed era un’analisi giustissima. Adesso che gli operai votano Lega lo dicono tutti, io l’ho detto 15 anni fa.

E l’Italia dei valori?
È un movimento che esprime una sorta di populismo democratico. Se il populismo di Berlusconi va al governo, non può mettere fuorilegge quello di Di Pietro. A me il populismo non piace, però è un dato della realtà con cui bisogna fare i conti, frutto anche di una crisi della politica tradizionale. Io penso che sia bene che il movimento di Di Pietro resti in una dimensione contenuta, perché se dovesse prendere la leadership dell’opposizione renderebbe impossibile un’alternativa. Finora ha guadagnato spazio anche grazie alle incertezze e alle difficoltà del Pd, ma dopo il congresso mi auguro che lo spazio si riduca. Ovviamente ci vuole un progetto.

E cosa ci sta dentro questo progetto?
La crisi mette in evidenza tre questioni di fondo. Una è quella della democrazia e delle istituzioni, non solo del rafforzamento delle istituzioni nazionali ma di un governo democratico della globalizzazione dopo il fallimento dell’idea che il mercato possa regolamentare se stesso. Il secondo tema è quello di una maggiore eguaglianza sociale, perché la ricchezza è ripartita in modo ineguale. L’ultimo rapporto dell’Ocse sulla crescita è impressionante: negli ultimi vent’anni le disuguaglianze sociali sono aumentate a dismisura, in particolare fra chi vive del proprio lavoro e chi percepisce rendite finanziarie. In Italia poi questo fenomeno è enfatizzato dall’evasione fiscale, testimoniato dalle dichiarazioni dei redditi degli italiani. Questa distribuzione della ricchezza è una delle ragioni della caduta dei consumi. Tanto è vero che Barack Obama ha detto che bisogna ridurre le tasse alle classi medie e aumentare le tasse ai più ricchi.

Lei vuole fare lo stesso?
Innanzitutto ridurrei le tasse a chi guadagna poco. Il governo invece ha fatto il contrario: ha ridotto le tasse ai più ricchi. L’Ici sulle case di lusso è l’esempio di una tendenza. Cosa vuole fare di più a favore della speculazione finanziaria se non dire a uno che ha portato 100 milioni di euro fuori dall’Italia che se riporta i soldi in patria avrà un prelievo dell’1 per cento, mentre un imprenditore normale ci paga il 50 per cento di tasse? Questo è lo scudo fiscale. Come le appare questo dal punto di vista di una politica per l’equità fiscale? Io trovo che l’aliquota dello scudo fiscale sia scandalosa. Si doveva fare un accordo europeo con un’aliquota ragionevolmente superiore.

E il terzo punto del progetto del Pd?
C’è stato un grave deficit di innovazione in questi anni. Ritengo che la svalorizzazione del lavoro sia una delle ragioni della crisi, della caduta di produttività. E per questo bisogna spostare risorse su innovazione, ricerca e formazione. Questo governo ha aumentato la spesa corrente, tagliando gli investimenti, il sostegno a ricerca, scuola e università. In questo modo si pregiudica il futuro del Paese.

Il Pd deve ripartire da questi tre punti?
Certamente, anche se qui indico dei titoli, essendo un’intervista. Bisogna rilanciare con coraggio uno spirito riformista, a cominciare dalla riforma della politica, con una drastica riduzione del ceto politico, del numero di deputati, consiglieri regionali, provinciali, comunali.

Ci siamo tenuti a distanza dalla questione Berlusconi. È vero che quando sente il suo nome ancora si innervosisce? Non gli perdona il tiro mancino che le giocò con la Bicamerale.
Berlusconi ha commesso un grave errore. Non ha deluso me, ma danneggiato gli interessi fondamentali del Paese. Se avessimo portato a termine quell’accordo, avremmo avuto istituzioni più efficienti e soprattutto un passaggio a un bipolarismo più civile, la fine della demonizzazione reciproca, un male del nostro sistema bipolare, di cui Berlusconi non è soltanto vittima ma anche artefice.

Nessuna intesa è possibile con l’attuale centrodestra?
Auspico un’intesa per riformare la legge elettorale e cambiare la Costituzione. Qualche mese fa abbiamo discusso durante un convegno una proposta organica e l’abbiamo dibattuta con tutti. La Fondazione Italianieuropei promuove ricerca e dialogo fra tutte le componenti politiche e culturali. Abbiamo discusso di welfare con Maurizio Sacconi, di federalismo con Roberto Calderoli, di legge elettorale con Fabrizio Cicchitto e collaborato con Farefuturo, la fondazione del presidente Gianfranco Fini.

Tanto che si dice vi sia un asse Fini-D’Alema.
L’asse? Se uno va dietro tutte le cose che vengono dette...

Voterebbe Fini al Quirinale per evitare Berlusconi sul Colle?
Il Quirinale è ottimamente occupato in questo momento. Prima delle prossime elezioni del presidente della Repubblica ci saranno le politiche e la regola finora dice che chi governa le perde, regola realizzata costantemente in tutta la Seconda repubblica e io sono fiducioso che anche stavolta la regola verrà applicata, per cui... Detto questo, Fini fa il presidente della Camera in modo non fazioso e rispettando il suo ruolo istituzionale.

Lo preferisce a Berlusconi?
Fini è impegnato in una istituzione di garanzia e lo fa bene. Non ho mai visto Berlusconi in un ruolo di questo tipo, quindi non sono possibili raffronti. Lo vedo come presidente del Consiglio e secondo me lo fa piuttosto male.

Non c’è niente che riconosce al Cavaliere?
Ecco, il governo ha gestito bene il G8 e se fossimo un Paese ben ordinato l’opposizione avrebbe dovuto rendergliene atto con maggiore generosità. È stato un vertice allargato e questo è importante, ma l’impostazione è stata data dal governo precedente. Non solo, la presidenza italiana non avrebbe avuto successo se noi non avessimo pagato gli impegni presi al G8 di Genova. E li abbiamo onorati con un finanziamento straordinario di 1 miliardo. Insomma, noi abbiamo staccato un ticket perché Berlusconi potesse presiedere al meglio il G8 e ne sono contento. Ripeto, in un paese normale avremmo dovuto darcene atto a vicenda.

E la scossa di Bari? Gli scenari imprevedibili?
La trasmissione è andata in onda da Otranto, non da Bari. E io mi occupo di analisi politiche, non di retroscena giudiziari.

Sono anni che lei auspica, anzi prevede, la fine della stagione di Berlusconi...
Sì, penso sia una fase che volge al termine. E penso che sarà un finale agitato perché lui non è il tipo che passa la mano volentieri. Questo non significa che la destra in Italia non sia una grande forza. Penso che la destra abbia radici profonde nella storia del Paese. Ma certo la parabola della leadership berlusconiana è in fase discendente, anche se nessuno è in grado di prevedere la velocità di questa discesa.

Chi ne prenderà il posto secondo lei?
Diversi sono in pista.

Nomi?
Quelli noti: Fini, Tremonti. Poi ci sono quelli più strettamente legati all’entourage. Ma quando c’è un cambio non è mai uno della guardia pretoriana a prevalere, sono sempre personalità con maggiore indipendenza.

Lei sapeva dell’inchiesta di Bari?
Ho scoperto dopo che ero l’unico a non sapere. Al contrario il ministro Raffaele Fitto era informatissimo, ma poi mi hanno detto che a Bari lo sapevano tutti.
E quella frase che invitava il centrosinistra a prepararsi a governare?
Non ho parlato di governo, ma della necessità, per un’opposizione seria, di essere pronta ad affrontare momenti di instabilità e turbolenza politica. Al di là del gossip, che non mi interessa, non c’è dubbio che il tipo di situazione in cui si trova coinvolto il presidente del Consiglio indebolisca le istituzioni del Paese. Lo dico da testimone, da persona che gira parecchio il mondo.

Visto che gira il mondo, parliamo di cose estere. Ha senso restare in Afghanistan?
Non possiamo ridurre questo problema a una polemica strumentale interna alla politica italiana. Oltretutto, in questo modo si aggrava l’immagine già non molto positiva del nostro Paese. Bisogna discutere seriamente sull’Afghanistan nella sede dell’Onu e della Nato. Il vero problema è: quale strategia si ha per l’Afghanistan? Avevamo detto anni fa, essendo colpiti dagli insulti e accusati di essere amici dei terroristi, che serviva una via d’uscita politica che passa anche per il dialogo e una riconciliazione nazionale.

Ma il presidente Hamid Karzai è l’uomo adatto?
Io comincio ad avere dei dubbi sulla sua forza. È molto indebolito e pure lui sostiene come noi la necessità del dialogo con i talebani. Una soluzione militare non è la chiave per risolvere il problema. L’unica via è quella di rafforzare il regime democratico, la sua autonomia e autodifesa, e pacificare il paese attraverso il dialogo, isolando i terroristi di Al Qaeda. I bombardamenti indiscriminati hanno invece favorito i gruppi terroristici. Anche sul piano militare ci vuole una strategia militare coerente con l’obiettivo di isolare il terrorismo. Ma, senza strategia e anche un termine ragionevole per la missione, c’è il rischio che i singoli paesi comincino a sfilarsi a uno a uno, il che sarebbe un disastro per la comunità internazionale e per l’Alleanza atlantica.

Lei andò a braccetto in Libano con un esponente di Hezbollah. Lo rifarebbe?
È una delle operazioni di politica estera più importanti che abbia mai fatto il nostro Paese. Io svolsi un’intensissima opera di mediazione per cercare di fermare il conflitto, d’accordo con gli americani. A Beirut, quella mattina del 14 agosto, i bombardamenti erano cessati da un’ora e all’aeroporto trovai il ministro degli Esteri libanese che mi invitò, come segno di solidarietà, a visitare la città bombardata. Mi sembrò un atto giusto verso la popolazione civile. Vidi i morti e la gente che scavava tra le macerie. Fui avvicinato da un parlamentare libanese che mi prese sottobraccio, anche a scopo di protezione, non per andare a braccetto. La polemica nata in Italia aveva un livello di meschinità e povertà politica impressionante. Di cosa dovrei essere pentito? Di avere portato l’Italia a guidare per la prima volta nel dopoguerra una grande missione internazionale? Un ruolo di primo piano riconosciuto da tutti, mentre qui si affiggevano manifesti con «Dalemallah» amico dei terroristi. Una vergogna.

Però non v’è dubbio che Israele non la consideri un amico.
Io sono amico della pace e lavoro per gli interessi internazionali del nostro Paese. Le polemiche a cui si riferisce sono alimentate dall’interno del nostro Paese e non da parte israeliana. Sono molti, in Israele, a sapere che avere schierato l’Unifil alla frontiera con il Libano è stato un grande contributo alla sicurezza di Israele.

Chi silurò la sua candidatura alla presidenza della Repubblica?
In particolare credo che si opposero Casini e Fini. Ma vede che io non porto rancore, né verso Casini né verso Fini. Sono cose che capitano nella vita politica. Le dirò: è andata bene così. Al Quirinale c’è la persona giusta, Giorgio Napolitano. Io ho avuto modo di fare il ministro degli Esteri, un’esperienza bella e importante. I due mestieri più divertenti e appassionanti che mi è capitato di fare sono stati quelli di direttore dell’Unità e di ministro degli Esteri.

Tornerebbe a fare il presidente del Consiglio?
Non mi pare ora una prospettiva realistica, ma le assicuro che per il Paese non sarebbe un danno.

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dell'Associazione TERRA E LIBERTA' per il PD
di Vietri sul Mare.
L’Italia che sarà.Un partito è molte cose, la sua cultura, il suo programma, la leadership. Maprima di tutto è una comunità di donne e uomini che si riconosce in un’idea del futuro. E’ sempre stato così. I partiti capaci di durare nel tempo hanno convinto popoli e nazioni della possibilità di allargare le libertà e i diritti superando i limiti posti sino lì dalla storia. Le ideologie del Novecento hanno interpretato questa ambizione in modi diversi. Nel solidarismo. Nell’orizzonte dell’uguaglianza o nel finalismo di una società diversa. Anche l’Italia, dopo la Liberazione, ha riscoperto una pluralità di tradizioni e partiti. Ne è nato l’incontro di un popolo con la democrazia e sono seguiti decenni di crescita, lotte, movimenti che hanno cambiato volto al paese. Oggi serve riscoprire quel senso profondo della politica. Lo sipuò fare se un partito storicamente diverso torna a essere la leva per un balzo in avanti nelle libertà, nei principi di uguaglianza e convivenza per milioni di persone. La difficoltà è riuscirci in un mondo che è nuovo a sua volta. Dove le vecchie soluzioni non bastano più. Dove guerre e diritti umani violati, disuguaglianze insopportabili, oltre un miliardo di esseri umani senza accesso al cibo, un ambiente sfigurato esigono dalla politica parole e contenuti radicali. Un mondo dove, oggi più che mai, la sfida progressista si misura con la prospettiva di un governo globaledi democrazia ed economia. Dentro questa ambizione si rinnova anche il valore dell’Europa unita.La scelta del Partito Democratico si colloca qui. Come un investimento sul mondo attuale. La prima conseguenza è che il banco di prova per noi tutti non èl’Italia che c’è. Ma l’Italia che sarà. Cosa lasceremo dopo? Questa, al fondo, è la domanda decisiva per un partito e per i suoi gruppi dirigenti. Quella che ne stabilisce la natura e la forza.Noi suggeriamo una risposta: vogliamo lasciare un’Italia additata come esempio, innanzitutto per il suo livello di civiltà. Un paese considerato. Per il rispetto verso chi qui nasce, per chi qui giunge e vive, e per il suo ambiente e la sua cultura. Un rispetto da conquistare attraverso l’uguaglianza nei diritti e nei doveri, senza distinzioni di genere, lingua, credo. E senza discriminazioni legate all’età, all’orientamento sessuale, a diverse abilità.Una riscossa civile e morale.La nostra ambizione – l’ambizione del Partito Democratico – è nella rivincita di questa idea dell’Italia. E’ nel condividere con una maggioranza dei cittadini le mete di una democrazia che la destra sta deformando. Noi vogliamo lavorare per una riscossa civile e morale del Paese, contro le ragioni di quella destra. Per riuscirci dobbiamo rompere un linguaggio e una continuità con la storia di questi anni.Abbiamo conosciuto Blair e l’impatto della modernità nel welfare. Zapatero e la fermezza sui diritti civili. Oggi, insieme al primato dei diritti umani e al dialogo tra le nazioni, vediamo in Obama il ritorno dell’uguaglianza nell’accesso alle opportunità e alle risorse economiche e ambientali. Leadership diverse, ma tutte autorevoli perché autorevoli erano e sono i traguardi che hanno saputo indicare.A noi spetta dire l’Italia che vogliamo. Un paese dove nessuno, nel corso della vita, sia abbandonato o veda limitata la sua libertà, in una tensione costante verso il bene comune e virtù civili condivise.Dove il rispetto e il sostegno della dignità e dell'autonomia di ogni donna, condizione della dignità e autonomia di tutti, sia il limite invalicabile della democrazia e della civiltà. Dove si realizzi la più clamorosa riconversione dell’economia. Mettendo al centro la dignità e l'onestà della persona nel lavoro e nella corrispondenza, anche morale, tra contenuto del lavoro, corredo di diritti sociali e qualità del reddito. Il valore del lavoro si misura a partire da lì, dal riconoscimento dell'eguale pregio sociale tra lavoro manuale e artigianale, intellettuale e creativo, dell'impresa, dell’educazione e della cura. Tra i prezzi maggiori pagati al liberismo senza principi vi è stato, in particolare, l’offuscarsi di questo valore. Donne e uomini sono tornati a rappresentare merce per i profitti, e ciò è andato di pari passo col consumo dissennato delle risorse. Un atteggiamento esaltato da una globalizzazione senza regole, dalle delocalizzazioni, dalla via bassa alla competitività e dalla discontinuità di impieghi nel corso della vita.Il lavoro per ritrovare lo spazio che in questi anni gli è stato negato deve uscire dall’imbuto in cui è stato sacrificato e sposarsi aun approccio culturale moderno che metta al centro della crescita la Persona.Anche per questo la risposta alla crisi dev’essere economica e democratica al tempo stesso. Deve misurarsi coi guasti maturati nell’ultimo ventennio e coi ritardi culturali della sinistra e dei democratici europei.Forse oggi, per la prima volta, si può cogliere tutta la miopia di quanti ci hanno
spiegato che il tasso di riformismo si sarebbe misurato anche sulla flessibilità come valore in sé, sulla distanza dal sindacato e sull'esaltazione di un mercato senza lacci. Semmai una forza democratica deve spingere per una estensione della rappresentanza dei lavori e delle persone, e per un sindacato moderno, rinnovato nella sua cultura e impostazione.In questo autunno così difficile dovremo essere fermi nel prolungamento e nella estensione della cassa integrazione, nella difesa dei posti di lavoro esistenti, nell’introduzione di sostegni attivi al reddito di chi perde l’impiego. Combattendo la precarietà e l’ideologia fondata su “vite di scarto”, perché nessuno ha diritto di “scartare” nessuno. Dovremo spiegare le ragioni di un uso del fisco a favore dell'occupazione e delle piccole imprese. Restituire discredito all’evasione fiscale e cancellare una volta per tutte la cultura dei condoni, destinando le maggiori risorse al sostegno di pensioni e stipendi in un paese dove troppe famiglie scivolano in silenzio verso la povertà.Il traguardo è ricostruire le regole e un principio di legalità per un’economia che arricchisce il territorio e la comunità. Significa collocare gli italiani al vertice dell’Europa per la valorizzazionedelle risorse e dei giacimenti culturali. Traguardo che passa anche dalla forza della scuola pubblica, dall’autonomia della ricerca, da una riforma dell'informazione e dei media con una “riparazione” delle distorsioni di questi anni.E ancora, vogliamo collocare l’Italia tra i primi nell’uso sapiente del sole, del vento, del mare, e nel corretto uso dell’aria, dell’acqua, della terra.Per la prima volta i mutamenti climatici, le emergenze alimentari, assieme auna coscienza ambientale sempre più diffusa stanno mutando comportamenti e stili di vita. Anche nel nostro paese queste tendenze possono ispirare un nuovo civismo e aiutare occasioni di uno sviluppo economico di qualità.Un’idea forte dell’Italia passa da un’idea alta della sicurezza. Nel rispetto rigoroso dei diritti umani, ovunque nel mondo e tanto più in casa nostra, come non è avvenuto ancora di recente col respingimento collettivo di centinaia di disperati – tra loro donne e bambini – nel canale di Sicilia. Sicurezza contro l’odio razziale, la violenza sulle donne, l’omofobia, la prepotenza sull’infanzia e su chi è disabile. Sicurezza come diritto di cittadinanza. Sicurezza delle persone e dei territori. Combinando il massimo contrasto del crimine, la certezza e l’umanità della pena, la regolazione adeguata dei flussi di migranti, con un programma di prevenzione, di aiuto alla vittima, con un'educazione alla cittadinanza fin dai banchi della scuola. Tutto questo non lo possono fare un partito o un governo da soli. Per un partito moderno è decisivo aprirsi alla collaborazione permanente con associazioni, col mondo cooperativo e con le reti di solidarietà che agiscono sul territorio, in una spinta comune verso il riscatto della nazione.In questa prova chi è in prima fila nei governi locali avrà un ruolo importante. Perché meglio di chiunque sa collegare l’agire quotidiano a un progetto. L'Italia questo lo sa, conosce il patrimonio rappresentato dalle sue città. Questo vale per un Nord da rimotivare e riconoscere nella sua funzione nazionale, e per il Sud dove combattono risorse splendide e non rassegnate. Molta parte delle classi dirigenti più dinamiche si forma oggi nei territori, e questa è una risorsa. Ma se nei territori rimane rinchiusa, rischia di ripiegare e di rendere asfittico il paese. Noi vogliamo essere l’ossatura di classi dirigenti territoriali, ma responsabili verso il paese e capaci di tenere unita una nazione oggi spaccato. Anche per questo ci battiamo per una stagione di nuovo autonomismo consapevole e solidale.Una democrazia esigente e che decide.Se vogliamo davvero uscire dalla crisi con un’Italia diversaè necessario, dunque, che l’economia proceda insieme a una democrazia esigente e capace di decidere: perché dove crescono diritti e doveri, responsabilità, chance, cresce anche una società più ricca e inclusiva. Non per caso, a segnalare questo legame, si comincia a parlare sempre più spesso di “un’economia civile”.Agendo così cresce soprattutto un Paese più orgoglioso di sé. Dove la figlia o il figlio di un immigrato possanodiventare, un giorno non troppo lontano, capo del governo, sindaco di Roma o Milano, o presidente della Repubblica. Dove l’avanzamento dei meriti si fondi con la promozione degli ultimi, offrendo a tutti la possibilità di un’esistenza degna, dal primo all’ultimo giorno. Traguardo che passa, per ciascuno di noi, da un reddito o una pensione sicuri lungo ogni stagione e dalla possibilità di scegliere sulle decisioni fondamentali della vita. Dalla necessità di sbloccare un Paese corporativo e drammaticamente fermo. Dalla gioia di una maternità spesso negata a causa della precarietà e da un tasso di occupazione femminile che ci colloca in fondo all’Europa, da servizi mancanti e da uno stato sociale rigido. E da una busta paga che per le donne, nonostante la Costituzione, è tuttora più leggera rispetto a quella dei loro colleghi maschi.I frutti avvelenati del berlusconismo hanno avuto l'acme nell’offesa della dignità pubblica femminile. E’ questo forse il tratto più grave della regressione culturale inflitta dalla destra. Con un’ atteggiamento verso le donne che ha resuscitato toni e modi di un’italietta misera.Non è solo una devianza di stile o un colpo alla credibilità del Paese. E’ un problema più serio, di fatto il tentativo di una rivincita contro la storia della libertà femminile e l’orgoglio di tante ragazze che vogliono essere considerate per qualità e senso di sé. Questo è tanto più pericoloso in un Paese dove familismo e conservazione, segnano elités e società. E dove, non a caso, è enorme il divario tra le capacità, la voglia di farcela delle donne e di moltissimi giovani e la risposta che a questa pressione offrono le istituzioni e la comunità. Su questo piano, anche nel nuovo partito, non abbiamo mosso passi sufficienti.Ci sono stati errori di una classe dirigente ancora troppo maschile nei contenuti, negli stili, nella gestione del potere. E tra le stesse democratiche è aperta una riflessione sulle discontinuità necessarie e sulla costruzione di un pensiero in grado di segnare una stagione di nuova autonomia e benessere per le donne e per il Paese.Altri “dove….” andranno scritti. Ma avendo sempre una bussola da consultare, perché senza bussola non c’è rotta e non c’è meta.Una bussola per fare ciò che in Italia non è mai stato fatto: promuovere l’uguaglianza come spinta alla crescita e al nuovo civismo evocato da Bersani. A quella “religione civile” che in fondo è la vera, grande carenza del nostro passato e del nostro presente.E allora ci sono due modi di intendere l'Italia che sarà. Quello più consumato, di un riformismo conosciuto e che si accontenta. Oppure quello che si propone uno strappo culturale e, di fronte alla crisi, ripensa a un’idea di progresso.La laicità.Se di questo si tratta, mai come oggi la laicità è tra i principi ispiratori di questo cammino. Laicità come guida in un mondo attraversato da fondamentalismi antichi e nuovi che impongono il loro dominio sul corpo e sulla dignità, ancora una volta, in primo luogo delle donne e dei bambini. Laicità, dunque, come premessa della libertà individuale. Come metodo per cercare soluzioni sagge, capaci di trasmettere fiducia e speranza alle persone, e mai punitive verso le loro convinzioni o la loro condizione. Laicità come riferimento per un diritto miteche restituisca ai cittadini una possibilità di scelta sui progetti di vita che li riguardano. Elaicità, naturalmente, come faro per classi dirigenti autonome, con la schiena diritta, tese alla costruzione di quelle virtù della Repubblica in cui potersi ritrovare, sentendosi davvero in casa propria. Che si tratti di garantire un testamento biologico effettivo, della revisione della legge 40, dei diritti e dei doveri delle coppie di fatto o dell’introduzione del divorzio breve. Questa visione della laicità riconosce la ricchezza e il ruolo della vasta comunità cristiana e in generale delle religioni nella sfera pubblica ed è condizione anche per quel dialogo inter-religioso vitale per coltivare la convivenza e la pace. Sapendo, tuttavia, che il primato è sempre di quell'etica della responsabilità che Stato e istituzioni devono stimolare e valorizzare, con buone leggi e il buon esempio. Una identità.Abbiamo parlato di principi e traguardi. Ciò che vogliamo dire è che per fare un partito non bastano uno statuto alla moda o un buon programma di governo. Diventeremo un vero, grande, partito democratico se poggeremo le nostre ragioni sul mito di un paese possibile. Perché su quel mito potremo aggregare un “popolo”. Il nostro.Per fare tutto questo serve una identità. Chiara.Riconoscibile. Questo è un punto di discontinuità con l’impostazione prevalente nel primo anno e mezzo di vita del PD. Perché proprio questa convinzione è stata negata, anche sul piano teorico, da chi ha guidato il partito finora. Motivando la vocazione maggioritaria come rappresentanza passiva di qualunque domanda e bisogno e non come la capacità di organizzare gli interessi parziali intorno a un’idea forte del Paese. Un’idea fondata sulle priorità, sulle coerenze, sulle scelte di una battaglia culturale e politica alla destra.Purtroppo quel vuoto ha pesato. Ha ridotto l’entusiasmo verso il progetto. Abbiamo condotto un’opposizione talvolta efficace, ma sono venuti meno autorevolezza, radicamento e milioni di voti.E’ mancata una discussione ordinata, in cui far sentire la voce dei Circoli e di un circuito più largo di sostenitori. Alcuni di noi avrebbero preferito tenere il congresso subito dopo il voto politico, per poter reinvestire al meglio quel 33 per cento raccolto. Invece abbiamo finito coll’archiviare le dimissioni del Segretario eleggendone un altro in una manciata di ore, senza un confronto vero e ridando così fiato a correntismo e “caminetti”.Ma se le cose stanno così, il punto non è impedire un ritorno all’indietro. Nessuno vuole tornare a prima. Questa è una caricatura. Il punto è come scegliamo di andare avanti. Un partito vero.Alle spalle abbiamo anni segnati dallo spregio verso la politica e i partiti. Quel giudizio si è fondato su un’immagine a volte devastata della qualità e moralità dell’impegno pubblico e nelle istituzioni.Mail PD è nato esattamente per contrastare quel sentimento e invertire quella deriva. Anche per questo vogliamo “un partito”. Non una sua imitazione. Tanto meno un partito ridotto a comitato elettorale di qualcuno, o parentesi tra un evento televisivo e l'altro.Un partito solido, trasparente, dove sia facile entrare e contare. Dove si studi, si lavori e si possa gioire insieme. Dove tutte le regole venganoapplicate e non solo proclamate. Pensiamo debba valere l’incompatibilità tra incarichi politici e incarichi pubblici. Chi fa il sindaco o il presidente di provincia o di regione non può allo stesso tempo dirigere il partito. Chiediamo che i gruppi del PD nelle istituzioni prevedano degli albi per la selezione delle candidature alle nomine pubbliche di competenza della politica. Noi siamo per le primarie nella selezione dei sindaci, dei presidenti di provincia e di regione. Vogliamo le primarie per la selezione dei candidati al Parlamento. Vogliamo anche introdurre la possibilità di consultazioni referendarie degli iscritti su alcune scelte di linea e di contenuto, perché anche così il partito impara a essere “democratico”, nel modo con cui si assumono e si rispettano le decisioni della maggioranza.Per la guida del partito, a tutti i livelli, vogliamo una discussione e una scelta seria nel congresso per consentire al partito e ai suoi iscritti di decidere come governare quella procedura, quando realizzarla perché sia davvero la porta girevole di una partecipazione larga e appassionata. Quello che non può più proseguire oltre è un meccanismo che, a tutti i livelli, appalta funzioni e ruoli secondo appartenenze a gruppi e componenti sacrificando ogni principio di capacità e merito.La costruzione di un partito è come la crescita di un figlio. Può far sorridere, ma è così. Chiede dedizione, affetto, regole, severità. E anche il coraggio di correggere le cose che non hanno funzionato. Ma è solo se questo impegno viene affrontato senza scorciatoie o improvvisazioni che quel partito crescerà sano e libero.Un nuovo centrosinistra. Infine, parlando del partito che dobbiamo costruire, pensiamo che il nostro sguardo sarà più lungo se terrà conto della storia del paese, delle radici che hanno reso possibile arrivare sino qui, con il coraggio di chi sa che è giusto cambiare ancora.Questo vorrà dire guardare verso altre e altri, recuperando lo spirito della “costituente” archiviato troppo in fretta. Insomma, pensiamo a un partito curioso, aperto. Un partito attento anche alla sinistra che si interroga fuori da noi, alle forze dell'opposizione più moderate, perché una nuova alleanza, un nuovo centrosinistra, si possa iniziare a costruire da subito, e in coerenza con quel bipolarismo necessario al Paese e al quale non intendiamo rinunciare.Pensiamo a una democrazia rappresentativa di tipo parlamentare. Con un ruolo rigenerato dei partiti e la massima pubblicità nei loro finanziamenti.L’attuale legge elettorale per il Parlamento nazionale è un insulto. Oggi una decina di persone stabilisce la composizione di Camera e Senato. Per cambiare questa assurdità serve una maggioranza di deputati e senatori. La nostra scelta è per il ripristino del collegio uninominale maggioritario, preferibilmente a doppio turno. Nel caso questa soluzione non fosse raggiungibile si deve valutare un sistema proporzionale con soglia di accesso. Ma con una chiarezza sulle alleanze successive. Perché i partiti hanno il dovere di dire agli elettori – prima delle elezioni – con chi intendono allearsi. E’ una decisione imposta loro da quella coscienza bipolare del Paese che è tra i veri fatti nuovi e positividell’ultimo ventennio.Noi non vogliamo tornare alle pratiche dei governi figli di estenuanti trattative. Ma questo traguardo, largamente condiviso nell’opinione pubblica, a questo punto non passa solo dalle regole elettorali. Passa dall’autonomia e dalla credibilitàdella politica. Le forze sinceramente bipolariste saranno premiate. Chi lavorerà contro il bipolarismo verrà punito. Ciò che non funziona più (visti i risultati conseguiti finora) è l’idea che le tecniche elettorali cambinoda sole le culture politiche. Questo schema voleva sperimentare in Italia l’elezione diretta del governo da parte dei cittadini. Il risultato è che ai cittadini è stato sottratto anche il diritto di eleggere il Parlamento. Adesso è venuto il momento di restituire agli elettori lo scettro della decisione. Ma per davvero.La nostra vocazione maggioritaria.Vivrà qui, infine, la vera vocazione maggioritaria del PD. Nella nostra capacità di rendere popolari valori e traguardi che consideriamo irrinunciabili, e che oggi non sono ancora vincenti.Per tutte queste ragioni è giusto scegliere bene il progetto e la leadership migliori per battere una destra illiberale, che mostra alcune crepe, ma ancora forte nel consenso che raccoglie. A Pier Luigi Bersani chiediamo di interpretare questa leadership e di essere il segretario di tutti. Noi lo appoggeremo con lealtà, battendoci per le idee nelle quali crediamo di più e che abbiamo richiamato in questo documento.Lo facciamo convinti che viviamo un destino comune e che il giorno dopo il Congresso dovremo poter dire, con più sicurezza, di avere una passione condivisa, una comunità vitale, pensieri forti e un popolo da rappresentare. A Bersani chiediamo un atto di rigore: la scelta di avviare una stagione per le Democratiche e per i Democratici segnata da una sobrietà dei toni pari alla determinazione delle battaglie che saremo chiamati a condurre. Infine gli diciamo che il miglior leader sa di non bastare a se stesso perché l’orchestra senza direttore non produce armonia, ma il direttore senza orchestra non emette suono. Abbiamo bisogno gli uni degli altri. Perché solo insieme ce la potremo fare.Non sarà facile. Ma da qui dobbiamo ripartire e, insieme, ce la possiamo fare.

BERSANI: PER L'ITALIA

BERSANI: PER L'ITALIA
venerdì 10 luglio 2009

BERSANI: PER L'ITALIA
1 luglio 2009
Idee per l'Italia e per il PD.
Bersani incontra i giovani.
Testo integrale dell'intervento all'Ambra Jovinelli, in occasione della presentazione della candidatura a Segretario del PD.

Cari amici e compagni, la prima parola la voglio dire per testimoniare il cordoglio nostro per le vittime dell’assurda strage di Viareggio e per dare solidarietà alle famiglie dei morti e dei feriti. Vorrei che ci raccogliessimo in un minuto di silenzio.Subito qualche scusa e ringraziamento. Mi scuso, intanto, con le centinaia di persone che sono fuori da qui e mando loro un saluto. Mi dispiace, non pensavamo ad un’affluenza di questo genere. Un ringraziamento fatemelo fare – anche se non tutti ce ne siamo accorti in questo momento particolare – allo staff di Vasco Rossi che ha voluto regalarci un minuto di una rielaborazione di una bellissima sua canzone. Questo mi ha fatto molto piacere. E ringrazio voi, naturalmente, tutti voi, per aver raccolto il mio invito che, come sapete, è rivolto in particolare alla nuova generazione che è già in campo. Così farò in altri appuntamenti, in altre iniziative al nord ed al sud del Paese.Non c’è bisogno di inventarsi una nuova generazione, neanche c’è bisogno di raffigurarla per simboli! Bisogna aprirle la strada. In primo luogo, aprirle la strada facendo in modo – e cominciamo qui – che possa direttamente prendere in mano, in ogni luogo del Paese, la discussione politica che avremo. E, in secondo luogo, facendo in modo che questa generazione possa misurarsi ad ogni livello nelle funzioni esecutive del partito. È quello che mi impegno a fare, a cominciare dal livello nazionale. È giusto che chi si predispone a sostenermi sappia bene come la penso a questo proposito.Io ho in mente un partito nel quale c’è rispetto, rispetto per la generazione precedente; e un partito nel quale la generazione che viene prima, considera suo compito aprire subito la strada alla nuova generazione, sostenendola ed accompagnandola. Ho detto che avremo una discussione politica, finalmente una discussione politica! Una discussione sull’Italia e su noi, per renderci più utili alla riscossa del nostro Paese e agli interessi e ai valori che vogliamo rappresentare.In questi mesi ci si deve accorgere che vogliamo avvicinare il Partito Democratico all’Italia. Dobbiamo guardare in faccia la realtà. In questi venti mesi abbiamo suscitato molte speranze, e una parte di queste speranze è rimasta delusa.Molti elettori si sono allontanati da noi. Abbiamo vissuto in molti luoghi del Paese il venir meno della solidarietà fra di noi. Fenomeni di ripiegamento, di divisione, perfino di anarchismo. Le elezioni hanno segnalato, in particolare, un indebolimento del nostro legame con ceti popolari e ceti produttivi, confermandoci che la destra, quando vince, vince nel popolo.E, tuttavia, di fronte a tutto questo non è mancato nelle nostre file la capacità di mobilitazione, di reazione. Nel pieno di una battaglia difficile abbiamo mostrato punti significativi di tenuta. Il nostro progetto non è stato mai messo in discussione. Franceschini lo ha detto e sono d’accordo con lui. Abbiamo le condizioni politiche per riaffermare il progetto e per rimetterlo in cammino.Ma ecco il punto di partenza, che mi indusse mesi fa ad annunciare la mia candidatura. Secondo me, ci sono forti correzioni da fare. Chiariamo subito un punto: non si dica che i nostri problemi sono venuti dal presunto tradimento di un’ispirazione originaria. I nostri problemi sono venuti dal non aver messo ancora il nostro progetto su basi culturali, politiche ed organizzative abbastanza solide. Questo è il nostro problema e questo è il problema che il Congresso deve risolvere. Un congresso, quindi, fondativo del nostro partito.Lo dico con franchezza: se non prenderemo in mano noi stessi, autonomamente e responsabilmente il nostro destino, se ci faremo prendere la mano da una discussione confusa e tutta mediatica, se ci attarderemo a discutere su categorie inafferrabili, su chi è democratico doc e chi no, sul nuovo e sul vecchio, sul vecchio e sul giovane, su chi deve star dentro e chi deve andare fuori, su chi ha la cravatta e chi no, io credo che gli italiani, giustamente, rivolgeranno lo sguardo altrove.E noi ci ritroveremo senza solidarietà, senza contenuti e, temo, anche senza partito. Io cercherò un’altra strada. Io farò un congresso contro nessuno, discutendo di politica e cercando, per quello che mi sarà possibile, di essere chiaro e concreto, di evitare la retorica. Forse ne abbiamo usata troppa in questi venti mesi e alla fine non ha scaldato il cuore. Gli italiani non l’amano.In una discussione vera, per me, non c’è bisogno di supporters. C’è bisogno della testa e della testa di tutti. Io ci metterò la mia testa, come ho sempre fatto. Io sono il candidato di nessuno, e sono il candidato che pensa che ci sia bisogno di tutti. Di tutti. Dirò l’essenziale di quel che penso sull’Italia, sui nostri compiti politici, sul partito, sapendo bene che, come capita in questi casi, non potrò essere breve. Dovrete avere un pò di pazienza. Neanche riuscirò ad essere esaustivo, e me ne scuso!Voglio partire con una premessa per me non di poco conto. Prima di parlare d’Italia e di parlare agli italiani, dovremmo avere un’idea un pò più chiara sulla nostra carta d’identità, sul nostro biglietto da visita. Noi abbiamo affermato e ancora sento affermare l’esigenza di un partito post-identitario. Io non ci credo, non ho mai capito cosa significasse.L’idea secondo la quale affidandoci a labili e forse ovvii riferimenti valoriali e ad un pò di eclettismo nella cultura politica, ce ne venissero larghezza di orizzonti, forza attrattiva, credo sia un’idea infondata, perché senza un’identità riconoscibile ogni gesto, anche il più provvisorio, il più tattico, mette un interrogativo su chi sei davvero.Senza un’identità riconoscibile ti privi di un messaggio di senso verso le generazioni nuove. Senza un’identità riconoscibile ti disarmi verso una destra che sparge ideologia, cioè un senso comune, un sistema di concetti che vengono prima della proposta politica o dell’azione di governo. Il “berlusconismo”, il “leghismo” li definiremmo forse post-identitari, post-ideologici? Eppure è con questi che noi abbiamo a che fare e, quindi, alla fine di questo congresso dovremmo aver detto qualcosa di più chiaro su di noi. Io parlo di un Partito Democratico che vuole interpretare ed estendere l’area del centrosinistra con il profilo di un partito popolare, un partito di una sinistra democratica e liberale che abita dove abitano le forze progressiste, socialiste, liberaldemocratiche del mondo, che partecipa all’alleanza tra socialisti e democratici in Europa. Parlo di un partito popolare, quindi non classista, non elitario, non populista, radicato in ogni luogo e capace di esperienze e di linguaggi che siano legati alla vita reale.Un partito che si rivolge ad un arco ampio di ceti, di categorie sociali, ma che non può vivere scollegato dai ceti popolari, dai ceti produttivi e dalle nuove generazioni. Un partito, dicevo, che interpreti l’area del centrosinistra col profilo di una sinistra democratica e liberale, cioè di un partito che si ispira ad un’idea di uguaglianza e la rende concreta sia attraverso un mercato aperto e regolato, che distribuisca equamente occasioni, sia attraverso politiche pubbliche, sociali e universalistiche di ridistribuzione, di welfare, di promozione dei beni collettivi.Per me, il Partito Democratico è un partito del lavoro, nella molteplicità dei suoi aspetti e dei suoi protagonisti, che rivendica la dignità e il ruolo sia del lavoro subordinato, sia di quello autonomo e imprenditoriale. Nel concreto, ne sostiene la prevalenza rispetto alle rendite e ad ogni privilegio. Il Partito Democratico, per me, è un partito laico, che non per questo banalizza o relativizza convinzioni o valori, crede anzi nella forza positiva delle convinzioni filosofiche e religiose. E, tuttavia, le distingue dalla responsabilità autonoma della politica, che ha il compito di promuovere decisioni pubbliche, tenendo conto della coscienza di tutti. Così come è stato insegnato dalle radici profonde della cultura cattolico-democratica.Il Partito Democratico riconosce nella sfera dei diritti civili un fattore fondamentale di avanzamento umano, attraverso l’affidamento progressivo alla libertà e alla responsabilità dell’individuo di questioni che prima erano ricondotte ad una dimensione di etica pubblica. Ho fatto altrove questo esempio: fino a pochi anni fa lo stupro era un reato contro la morale; chi lo definirebbe così adesso? Adesso è un reato contro il diritto all’intangibilità della persona! Il PD riconosce l’esigenza di regolare i possibili usi distorsivi della tecnica, il rischio della sovranità della tecnica, in particolare per quel che riguarda la possibile manipolazione dell’uomo.Quando la politica è chiamata ad avvicinarsi ai temi cruciali della persona e della condizione umana il Partito Democratico fa riferimento ad un umanesimo forte, di natura cristiana e laica, che vive nelle radici profonde della nostra cultura politica e che non consente che, come debba, morire io lo decida il senatore Gasparri o il senatore Quagliariello,che non consente che lo Stato invada i mondi vitali della persona e della famiglia. Il Partito Democratico è il partito del nuovo civismo, non perché pretenda di essere un’autorità morale, ma perché vuole promuovere una società organizzata su diritti e su doveri e su quella regolazione implicita della società, che prenda forza da comportamenti ispirati al civismo. E questo a partire dalla sobrietà della politica, come primo punto di questa riscossa civica.Infine, il Partito Democratico è il partito del nuovo secolo, un partito contemporaneo, fortemente orientato alla modernità. Vuole misurarsi sui nuovi problemi, promuovere in ogni campo le prospettive delle nuove generazioni. Ma tutto questo, secondo me, diventa più agevole traendo forte senso da antiche radici che, oltrepassano largamente le vicende degli ultimi decenni, i DS, la Margherita, il PC, la DC, il “compromesso storico”.Mettiamo tutto questo in un percorso più ampio, più lungo. La nostra narrazione deve prendere a riferimento questioni più essenziali, radici più essenziali. Radici di emancipazione, di riscatto, di auto-organizzazione, di solidarietà, di autonomia, che furono la premessa vivente delle grandi formazioni politiche e popolari all’affacciarsi del secolo scorso.Allora si formò l’idea che, prendendo le parti ed il punto di vista di chi lavora e produce, di chi è più debole e subordinato, si potesse costruire una società migliore per tutti. E davanti alle condizioni nuove del nuovo secolo, questa resta la nostra profonda ispirazione, la nostra carta d’identità e, al tempo stesso, questo resta il nostro fondamentale problema nei tempi nuovi, nei tempi che si affacciano: darci un nuovo radicamento nei grandi ceti popolari. All’uscita dal Congresso dovremo avere le idee più chiare su tutto questo, per poterci rivolgere con un profilo netto all’Italia. Se vogliamo parlare dell’Italia noi dobbiamo farlo nel cuore di questa crisi; non ne usciremo come ci siamo entrati, né per l’economia, né per la politica.La gestione della destra è fatta di minimizzazione, di cabotaggio.Ci prepara stagnazione economica, ci prepara crisi della finanza pubblica. Ci prepara una stagione ulteriore di condoni e quindi la previsione di ulteriori aumenti della pressione fiscale. Ci prepara l’abbandono sostanziale delle situazioni sociali più deboli.Noi chiediamo anche da qui e con forza al Governo di assumere una maggiore responsabilità, di non edulcorare i dati della crisi.Chiediamo al Governo di smetterla con le piccole pillole comunicative, chiediamo una gestione più aggressiva, una vera manovra anti-crisi che metta soldi veri e nuovi dove vanni messi: nei redditi di chi, a qualsiasi titolo, perde il posto di lavoro; nella liquidità delle piccole imprese ed in investimenti immediati che solo gli Enti Locali sono in condizione di fare.Stimoli all’economia reale, preservazione delle nostre capacità produttive, impresa, lavoro; misure temporanee, ma effettive, consistenti! La crisi non è psicologica e non è alle nostre spalle. Purtroppo, gli effetti economici e sociali della crisi ce li abbiamo ancora davanti. E, soprattutto – ecco il punto di cui il Governo non vuole occuparsi – abbiamo davanti il rischio di una caduta di rango del nostro Paese, il rischio che vengono azzoppati, bloccati, contraddetti i processi di innovazione e di investimento e che ci troviamo all’uscita dalla crisi in una condizione più debole della nostra economia nel quadro internazionale.In ogni caso, noi dobbiamo affiancare i protagonisti della crisi. Nel viaggio che farò, in occasione del Congresso, ovunque sarà possibile, cercherò di avere un incontro con i lavoratori, con gli imprenditori che sono sottoposti ai processi di crisi.E invito tutti a fare altrettanto. Bisogna che il nostro partito ci sia. Poi si vede come fare ma, intanto, bisogna esserci, nei luoghi di questa crisi. Questa crisi scatenata dalla finanza ha origini in realtà, lo sappiamo, in politiche economiche squilibrate, fondamentalmente poggiate sull’idea che la ricchezza smisurata di pochi possa fare da locomotiva per tutti. E adesso, dagli Stati Uniti alla Cina, tutti sono costretti a cercare un nuovo equilibrio tra economia e società, mediato dalla politica; a cercare uno sviluppo più equilibrato dei loro mercati interni, a sviluppare un’attenzione più marcata di beni collettivi, a quelli ambientali, per esempio. E a tornare ai fatti fondamentali della produzione e del lavoro.E allora, se è così, i principi di equilibrio sociale e di eguaglianza possono pretendere, oggi, più di ieri, di essere portatori di una razionalità economica. Si può affermare l’idea che nessun cittadino, nessun ceto sociale, nessun paese può star bene da solo se anche gli altri non trovano la strada per stare un pò meglio.E, mi rendo conto, una prospettiva controversa, aperta ovunque – anche da noi – ad altri sbocchi di tipo protezionistico, difensivo, regressivo, ma pur tuttavia è un terreno nuovo, un banco di prova. Anche qui in Italia. Come in una crisi, che non sarà breve, suscitare un progetto, uno sbocco possibile, un orizzonte di cambiamento che impedisca una regressione strutturale del nostro sistema, sul piano socio-economico e anche sul piano culturale, ideale? Questo è un rischio che c’è, e che può portare a sbocchi politici che oggi non possiamo prevedere. Noi dobbiamo dunque uscire da questo congresso con un’idea positiva del nostro paese, un’idea che abbia concretezza. Non tocca ad un congresso fare un programma di governo, ma l’ispirazione essenziale di un programma sì, questo dobbiamo definirlo, in questo congresso.Io comincio da qui. Tutto quello che si può fare per l’Italia viene disperso se non si aggrediscono le due questioni che ci caratterizzano tra i paesi maturi e che imprigionano le nostre energie. Le due questioni sono: primo, la più cattiva distribuzione della ricchezza; secondo, la minore mobilità sociale.La ricchezza mal distribuita fra ceti e mal distribuita fra territori si accompagna da tempo ad un netto impoverimento, che dura da anni, dei ceti medi, dei ceti medio-bassi e bassi. Ad una riduzione sul pil dei redditi da lavoro, redditi spesso sempre più occasionali e precari. Fenomeni che sono ovunque nei paesi maturi, ma qui più accentuati. E su questi ceti indeboliti, su queste famiglie indebolite, si scaricano tutte le novità: la precarietà, il disordine di un’immigrazione che preme sul più basso decile di reddito, affolla quel decile di reddito, la non autosufficienza, che è in grado di mettere in ginocchio anche una famiglia a reddito medio, e tante altre cose ancora. Se non si coglie tutto questo, credo non si colga la sostanza, di cio che sta avvenendo nel paese e non si capisce neanche che cosa sia e cosa debba fare un partito popolare. Allo stesso tempo, i riflessi difensivi che scattano nelle fasi critiche aggravano i tradizionali assetti corporativi, relazionali, clientelari ai quali siamo da tanto tempo abituati nel nostro sistema. Blocchi che imprigionano enormi energie economiche e che imprigionano le prospettive delle nuove generazioni; sono blocchi che nella crisi si stringono ancora di più.Su questi due punti fondamentali ci vogliono riforme, riforme vere che noi dobbiamo avanzare con una proposta che si faccia capire. A proposito dei redditi: se noi, nel futuro, vogliamo aprire – come vogliamo, per i principi che ci caratterizzano – una nuova fase universalistica dei sistemi di welfare, dove in via di principio non c’è povero nè ricco, allora innanzitutto dobbiamo qualificare, rendere sostenibile l’universalismo che c’è già.Ad esempio qualificare e rendere sostenibile il sistema sanitario, imponendo le migliori pratica. Solo noi abbiamo la cultura di governo per fare davvero questa operazione, gli altri non ce l’hanno. E intanto che difendiamo l’universalismo che c’è, e che la qualifichiamo, dobbiamo introdurre nuovi universalismi, portare l’universalismo dove non c’è ancora. Il primo punto riguarda il dualismo del mercato del lavoro, che va assolutamente superato, aprendo, in particolare, dei processi univoci, ben definiti, di inserimento nel lavoro e di stabilità del lavoro.Voglio ricordare a me stesso e a voi che i giovani che, a qualsiasi titolo, fanno la prima esperienza di lavoro – questo ci risulta anche dalle ultime elezioni – sono quelli che più si allontanano da noi. È ora di dire a loro qualcosa che si capisca. Di proposte per il superamento di questo dualismo ce ne sono diverse sul tavolo, bisogna discutere, stringere e promuoverle. Bisogna occuparsi dei redditi di ultima istanza e bloccare processi di impoverimento estremo delle famiglie. Bisogna occuparsi di salario minimo, anche per vie contrattuali. Bisogna sollecitare davvero una contrattazione che distribuisca un pò meglio i guadagni di produttività. Bisogna favorire l’innalzamento flessibile e volontario dell’età pensionistica, ma al contempo aprire una riflessione più di fondo, perché quando il 54% delle nuove pensioni Inps 2007 è sotto i 750 euro e la tendenza è a peggiorare, vuol dire che nella prospettiva stiamo mandando un sacco di gente sotto la soglia di povertà.Questo non è accettabile e dobbiamo pensarci da subito e chiederci se davvero le “gambe” del sistema previdenziale, che abbiamo fin qui introdotto, non vadano arricchite, rafforzate, ristrutturate, aggiungendo anche uno zoccolo universalistico fondato sulla fiscalità generale a fronte di un calo significativo dei contributi.Così come non possiamo lasciare senza novità temi cruciali, come quelli della non autosufficienza e quelli delle famiglie numerose. Queste riforme possono reggersi, per una parte sostanziale, sul riequilibrio dei rapporti di convenienza interna e sulle risorse pubbliche già impegnate. Ma certamente non può essere rimosso, in un paese come il nostro, il tema della fedeltà fiscale, di una più equa distribuzione del carico fiscale, di una riformulazione della fiscalità d’impresa in modo più favorevole all’occupazione e soprattutto a meccanismi che inducano una fisiologia di emersione, di trasparenza, di tracciabilità nella formazione dei redditi e delle basi imponibili.E sul tema della mobilità sociale è importante premettere un concetto: la liberalizzazione è il contrario del liberismo. Liberalizzazione è dare regole al mercato, evitando il dominio dell’uno sull’altro; il liberismo è il mercato che si dà le regole da sé e anzi pretende anche di imporle alla società, alla sanità, al sociale e così via. Dobbiamo attaccare con nettezza assetti corporativi e relazionali per l’accesso alle attività economiche, alle professioni e alla ricerca. Dobbiamo farlo senza paura, prendendo il punto di vista della nuova generazione e mettendolo dentro come un motore della nostra politica.E così dobbiamo cambiare ottica, non possiamo parlare di casa solo a proposito di proprietà della casa, c’è bisogno di parlare anche di affitto, altrimenti nel paese non può esserci mobilità. E dobbiamo occuparci di più della progressione del lavoro delle donne, ampiamente discriminate, qualificare ed accorciare i percorsi di studio e cosi via. Voi lo sapete, propongo sempre di collegare il tema della mobilità sociale al tema della cittadinanza, della riscossa civica, di un nuovo civismo nel nostro paese. Responsabilità, merito, diritti e doveri, rispetto dei cittadini e in particolare del più debole, dell’escluso.Qui ci sono tantissimi temi. Noi non possiamo non occuparci senza incertezze del tema della sicurezza, non nella prospettiva sicuritaria-repressivo-regressiva della destra, ma nella forma rigorosa del diritto del cittadino alla sicurezza, a cominciare dal cittadino più debole, a cominciare dalla liberazione del cittadino e dell’impresa da tutte le mafie.Dobbiamo assumere la questione dei diritti civili, essere in prima linea nella tutela del consumatore e portare questo famoso merito dal cielo alla terra; il che vuol dire accettare meccanismi di valutazione esterna in ogni campo, altrimenti parliamo di merito assolutamente in astratto. E dobbiamo anche essere in prima linea nel pretendere l’efficacia delle sanzioni, a cominciare dalla giustizia civile.Sapete in questa crisi quanti artigiani si sentono dire dal cliente: guarda i soldi ti sono dovuti ma io non te li dò, rivolgiti pure all’avvocato o a chi vuoi, tanto ci vogliono dieci anni? Non è una cosa tollerabile! E cittadinanza vuol dire tante altre cose: promuovere la cittadinanza digitale, per esempio, con i nostri Enti Locali, una battaglia di frontiera bellissima. Vorrei mettere qui, sotto questo grande titolo civico l’esigenza di cui dobbiamo caricarci, di riportare al centro della discussione la dignità e la fatica della condizione femminile, oggi insultata dai devastanti stereotipi e berlusconismi. Dobbiamo pretendere rispetto, rispetto per questa condizione. E dobbiamo mettere sotto il titolo della cittadinanza, temi delicatissimi, come quello dell’immigrazione. Noi siamo perché l’immigrato regolare acquisisca i diritti e i doveri della cittadinanza e accompagniamo quel processo secondo principi di solidarietà, di umanità che deve prevalere comunque sopra ogni altra cosa. Ma non dimentichiamo mai che se c’è disordine e approssimazione nella regolazione dei flussi migratori quel disordine e quella approssimazione si scaricano sulla parte più debole della popolazione. Se ce ne dimentichiamo, non potremo lamentarci del diffondersi di idee regressive in chi può pensare, a ragione o torto, che si possa fare un mondo perfetto a spese sue. C’è un impatto da distribuire meglio, più equamente, tra chi fruisce più direttamente dell’immigrazione e chi può averne, a torto o ragione, paura. A cominciare dalla pressione sui servizi pubblici.E, infine e non per ultimo, metto sotto questo tema della riscossa civica – come dicevo - il tema della sobrietà della politica, a cominciare dalle muraglie cinesi fra interesse pubblico e privato. E a cominciare dai costi della politica. Qui non c’è bisogno di qualunquismo, di populismo e anti-politica. C’è bisogno di procedere a parametrarci con i costi medi di ogni funzione della politica dei principali Paesi europei. Una misura molto semplice, non qualunquista, che credo potrebbe avere una buona efficacia.Cari amici e compagni, dobbiamo essere un partito che dice le stesse cose al nord ed al sud. È diventato molto difficile, ma come direbbe Vasco siamo solo noi che possiamo farlo. Siamo solo noi.Il Nord, oltre che un luogo geografico, è una metafora dei ceti produttivi e più esposti alle dinamiche globali. Non c’è possibilità alcuna di rafforzare il nostro radicamento al nord senza correggere verso ceti popolari, ceti produttivi, lavoro, impresa l’asse generale delle nostre politiche. Non c’è alcuna possibilità fuori da questo. E questo, tuttavia, deve svolgersi in una reciprocità con la questione meridionale.Per esperienza posso dire una cosa: se fai delle riforme parli che si rivolgono alle esigenze di modernizzazione del Paese rispondi al nervosismo, all’insofferenza del Nord; ma metti anche in moto le dinamiche nelle aree meno sviluppate del Paese. E questo è ovvio, perchè là sono le energie potenziali. Allora, per esempio, se faccio liberalizzazioni, funzionano più al sud che al nord, se supero intermediazioni, come per esempio nelle incentivazioni della pubblica amministrazione, piaccio al nord, ma faccio un enorme piacere al sud.Cosi se mi occupo di sicurezza, di funzionamento della giustizia, allora una stagione di riforme di modernizzazione che liberi energie potenziali al sud e parli al nord del Paese è possibile, si può fare.E naturalmente, costruendo questa reciprocità, non può essere oscurata la parola “Mezzogiorno”, che oggi viene devastata, rimossa, male interpretata. Dobbiamo pronunciare questa parola con proposte nuove, che siano impugnate anche da una nuova generazione di protagonisti.Gli investimenti al sud vanno garantiti, non vanno rubati, rapinati e dispersi. Ma si possono fare in altro modo, come avevamo cercato di impostare: meccanismi automatici, non intermediati, per sostenere gli investimenti di impresa. Meccanismi premiali che premiano chi raggiunge certi standard di servizi, sto parlando di rifiuti, sto parlando di acqua, sto parlando di istruzione, sto parlando di anziani. Piani nazionali sui beni collettivi: energia, acqua, ambiente.Questa ricerca di reciprocità, in un partito che vuole essere un partito nazionale ma federale, la si gioca su un buon assetto del federalismo. Non vado al concreto, è un tema complesso di cui non voglio parlare qui. Qui sto alla politica. Dico che, essendo un partito nazionale, noi dobbiamo però operare una forte ripresa sul piano politico e culturale della grande tradizione autonomista che sta nelle nostre radici e di cui troppo spesso ci dimentichiamo.Un autonomismo che è il nostro e non è il loro! E non dobbiamo accettare lezioni da loro. Perché, alla fine, gli asili nido e le aree artigianali li abbiamo inventati noi, bisogna sempre ricordarselo! Non ce ne ricordiamo abbastanza. Non possiamo essere un partito delle autonomie dei territori, come ci diciamo spesso, se ci limitiamo a fare proposte normative. Dobbiamo far proposte normative, ma dobbiamo approfondire e rilanciare la nostra cultura autonomistica nel merito, nei contenuti e dobbiamo darci un’organizzazione di partito coerente con tutto questo. Ci vogliono tutte e tre queste cose.Credo molto all’energia che può venirci dalla crescita della soggettività politica dei nostri amministratori. Credo alle amministrazioni come leva fondamentale di selezione delle classi dirigenti e perché non manchi un saluto a tutti i nostri amministratori che sono sul fronte, voglio rivolgermi, per tutti loro, ai nostri amministratori aquilani che non lasceremo soli in un impegno terribilmente difficile e con un Governo che ha sbagliato dal primo giorno il rapporto con loro. Altro che il G8!Spero di avere possibilità di sviluppare in altre sedi, non posso farlo qui, qualche altro cardine di una politica riformista. Ci sono un paio di punti che non voglio banalizzare in tre righe, sui quali voglio organizzare due appuntamenti specifici: il primo riguarda il salto di rango di tutta la filiera della conoscenza, come fare del nostro partito la punta avanzata che garantisca un passaggio dell’Italia alla società della conoscenza. E non vado nel dettaglio, su questo faremo un’iniziativa specifica.Il secondo punto, che ugualmente non voglio banalizzare, è il grande tema delle politiche produttive e industriali nel loro collegamento con la conoscenza e nel loro collegamento col grande tema ambientale, che è la nuova grande frontiera di innovazione industriale, di qualificazione dei consumi e di miglioramento della qualità della vita.Quindi rimando i temi ai due appuntamenti che organizzeremo.Sulla piccola impresa però, parlando di innovazione, di politiche industriali, vorrei dire una parola. Noi dobbiamo veramente fare qualcosa di visibile, di concreto su un paio di punti. Uno è alleggerire l’impresa dal peso della rendita finanziaria e immobiliare, l’altro è cercare nuovi sistemi di relazione e una partecipazione più attiva, più vicina, dei lavoratori alla vita dell’impresa.E bisogna anche che noi superiamo davvero una barriera mentale che c’è tra noi e la piccola impresa. Bisogna che ci diciamo, molto semplicemente, che un imprenditore privato, cooperativo, artigiano, commerciante che sta nelle regole fa pienamente parte del nostro progetto, è un protagonista del nostro progetto! Mi ha veramente colpito, ( sono figlio di artigiani anch’io),un mese fa, la vicenda di quell’artigiano di Treviso, Walter Ongaro, che angosciato dalla crisi, probabilmente per la preoccupazione di dover licenziare delle persone con cui aveva lavorato per decenni, si è tolto la vita. Voglio inchinarmi a lui come a tutti i morti sul lavoro.Vorrei infine che fosse convocata dal nostro partito una grande conferenza sulla riforma della Pubblica Amministrazione, un tema su cui noi dobbiamo superare ritardi nella nostra cultura di governo.C’è un punto di cui dobbiamo essere consapevoli: noi abbiamo bisogno del buon nome della Pubblica Amministrazione per le nostre politiche che richiedono spesso l’intermediazione della Pubblica Amministrazione, l’urbanistica, la sanità universalistica e così via. Gli altri, per le loro politiche, hanno invece interesse al cattivo nome della Pubblica Amministrazione, per le loro politiche deregolative. E, quindi, loro non ci risolveranno il problema! Infatti, ogni loro riforma non va oltre ad un richiamo all’ordine e c’è sempre dentro un insulto, un insulto che noi rifiutiamo, rigettiamo.Riformare non è questo. Ma dobbiamo saperlo anche noi che cosa vuol dire riformare la Pubblica Amministrazione. Vuol dire fare quello che si fa normalmente dentro le politiche industriali e cioè avere meccanismi permanenti per adeguare la missione in ogni area dell’Amministrazione, avere strumenti che rendano praticabili le conversioni organizzative, per adeguare via via la Pubblica Amministrazione al mondo che cambia.E tocca a noi tutto questo, gli altri non lo faranno e scaricheranno sempre politicamente su di noi l’inefficienza o il cattivo nome della Pubblica Amministrazione.Naturalmente, avanzare una piattaforma significa aprire il dialogo con le organizzazioni sociali. Chi mi ha visto all’opera negli anni lo sa; io credo profondamente ai rapporti con i corpi intermedi e sono quasi un cultore, se così si può dire, della sussidiarietà, e sento di dover dire anche qui, ad esempio, che il mondo del lavoro in un passaggio così difficile ha bisogno che il sindacato ritrovi la strada della convergenza e dell’unità.Ma so anche qual è la responsabilità nostra, di un partito politico; una responsabilità che non abbiamo sempre esercitato in questi venti mesi, diciamocelo. Tocca alla politica pronunciare un’idea di società. Le organizzazioni sociali, i corpi intermedi vogliono fare il loro mestiere e gradiscono che tu faccia il tuo, discutendo con loro, certo, ma sapendo anche dove possono trovarti, in modo che ciascuno possa praticare la propria autonomia. Diamoci dunque il progetto, diamoci un’idea di società. Ci risulterà più facile anche allargare il confronto con tutte le forze sociali.E proprio qui, parlando di riforme, di contenuti, di innovazione, vorrei mettere – mi costa anche un pò per il carattere che ho – l’unica notazione personale di questo discorso. Vedo bene che da molte parti si cerca di mettere una patina di grigio sulla mia candidatura. Ora voglio dire semplicemente che, da quando cominciai, (molto giovane, girando a far politica per dei paesini di montagna) sono stato poi in tantissime responsabilità, e mi sono sempre preso la briga di cambiare. Non ho mai lasciato le cose come le ho trovate. Si può controllare.E non le ho mai lasciate come l’ho trovate per due semplici motivi, di cui uno addirittura banalissimo: ho sempre pensato che la terra gira tutti i giorni e tutti i giorni devi cambiar qualcosa. E il secondo motivo è che questo mondo qua, questa società così com’è non mi piace del tutto. E, quindi, questa famosa innovazione, innovazione, innovazione… vorrei capire: ne parliamo a chiacchiere! Allora io non vorrei partecipare. Se ne parliamo a fatti, al contrario, io credo di aver qualcosa da dire.Ma veniamo a cose più rilevanti che non i sassolini nelle scarpe: i nostri compiti politici; poi parlerò del partito e avremo concluso questa serata. Sui compiti politici, voglio dire prima di tutto che immagino le prospettive dell’Italia nello sviluppo di una politica estera di pace, di cooperazione, di corresponsabilità multilaterali, di rafforzamento e di riforma delle istituzioni internazionali, di una vera integrazione europea, di una forte soggettività dell’Europa, nella costruzione di istituti e regole della globalizzazione, di un suo protagonismo nella politica internazionale a cominciare dalle aree che sono a noi più vicine – i Balcani, il Medio Oriente, l’Iran insanguinato e preda di un nazionalismo aggressivo che vuole imporsi col pugno di ferro. Una politica estera secondo l’asse fondamentale di quella che è stata la politica estera dei governi di centrosinistra, che è riuscita a ridare ruolo, funzione, dignità alla nostra presenza nel mondo. Funzione e dignità che oggi sono dispersi in una politica estera da rotocalco e su questo; (siccome so che sono in sala dei rappresentanti del PD degli italiani all’estero, mandiamogli un applauso di incoraggiamento!)Il ciclo politico mondiale è segnato ancora dall’evoluzione della crisi, dalle nuove dinamiche, della globalizzazione. In tutti questi anni la destra si è mostrata spesso capace di cogliere i frutti politici di queste dinamiche; di coglierne i frutti politici, sia dal lato della deregolazione, del liberilismo, sia dal lato delle paure che la de regolazione suscitava. Quindi la destra è riuscita a fare un pò tutte le parti in commedia.Adesso in molte parti del mondo, a cominciare dagli Stati Uniti, le forze progressiste si mostrano capaci di indicare una prospettiva nuova. In Europa le forze progressiste di sinistra, nella prevalente tradizione socialdemocratica, appaiono ferme sulle gambe e sono da tempo colpite dalla crisi del compromesso sociale, che è stato il luogo politico per eccellenza della costruzione, formazione e rafforzamento di queste socialdemocrazie. Un compromesso sociale che è risultato affaticato dai suoi limiti interni, affaticato da orizzonti esclusivamente nazionali – questo è stato un limite enorme – ma scosso, però, anche dalla frusta della globalizzazione che ci ha portato in casa degli effetti dumping sui salari, sui diritti, sulla fiscalità.E queste forze non sono apparse in grado di indicare una prospettiva per l’Europa, a volte mostrando staticità, ripiegamenti e anche un qualche smarrimento dell’autonomia politica e culturale, come se bastasse a noi forze progressiste applicare più benevolmente le ricette degli altri. D’altra parte, la destra, anche nelle recenti elezioni europee, ha accumulato consenso, ma in modo spesso frammentato e imprigionato in formule difensive, addirittura regressive.A me pare che da tutto questo, in sostanza, derivi una perdita d’orizzonte delle politiche europee come tratto fondamentale di questa fase, cioè un’assenza di direzione di marcia. Come dicevo, c’è un aggiustamento incombente degli equilibri economici e sociali fondamentali nelle diverse aree del mondo. E questo lascia aperta la strada, durante e dopo la crisi, a sbocchi politici di diverso segno. Lo ripeto, non c’è dubbio che l’affacciarsi, a livello mondo, di nuove esigenze di regolazione e di un ruolo della politica nel determinare compatibilità sociali e ambientali della crescita offre il terreno per una fase nuova di elaborazione di iniziative delle forze democratiche e di sinistra europee. Una possibile riscossa alla quale i democratici italiani devono contribuire, a partire dalla nostra situazione nazionale.Nella dimensione italiana, la fase che si è aperta negli anni Ottanta ha determinato una riorganizzazione della politica, prima segnata da condizionamenti ormai estenuati della logica dei blocchi, poi dal vuoto lasciato dalla caduta del muro e dall’impronta di anti-politica con cui quel vuoto si è andato via-via chiudendo.Noi abbiamo avuto una fase di consolidamento bipolare, che bisogna riaffermare, ma che ritengo stabilizzata nella sua essenzialità e, tuttavia, irrisolta nella sua forma. Noi abbiamo vissuto un periodo nel quale Berlusconi, sostanzialmente, ha riorganizzato e reso utilizzabile per il governo del Paese tutto il campo del Centrodestra. Questa è stata la grande novità. Una fase nella quale il Centrosinistra ha conteso il governo del Paese, non senza risultati rilevanti, a cominciare dal grande appuntamento dell’Eur, ma senza trovare ancora una vera organizzazione del campo, nonostante la grande intuizione dell’Ulivo di Romano Prodi, che voglio salutare da qui.Nonostante la grande intuizione dell’Ulivo di Prodi – dicevo - e nonostante la nascita del Partito Democratico. Nessuno, peraltro, è riuscito in questi anni a sfondare davvero elettoralmente nel campo altrui; incursioni sì, sfondamenti no. Nel nostro Paese esistono dunque le potenzialità del ricambio, ma c’è ancora la presa di una leadership conservatrice con dei tratti fortemente ideologici.Questa leadership mostra con evidenza di esser sempre tentata ogni giorno di mettere il consenso davanti alle regole, di utilizzare il Governo per accumulare consenso, piuttosto che utilizzare il consenso per conseguire risultati veri, di governo, misurabili, utili alla riscossa del Paese. E, quindi, si rendono via via più evidenti sia i rischi di deformazione della nostra democrazia in senso populistico, sia le contraddizioni che la leadership conservatrice apre nei suoi rapporti col Paese. Non possiamo sottovalutare che le ultime elezioni hanno comunque segnato una battuta d’arresto della spinta propulsiva di Berlusconi.Quindi bisogna determinare con maggiore chiarezza di quanto non sia avvenuto fin qui il compito politico del Partito Democratico. Per me, questo compito si presenta con tre aspetti intimamente connessi: profilare meglio la nostra identità, il nostro progetto; tenere aperto il cantiere del partito; contribuire con efficacia all’organizzazione del campo del Centrosinistra. Sono convinto che un nostro profilo più leggibile, un’idea più chiara di partito potranno aiutarci, nei mesi successivi al Congresso e sulla base di vincoli programmatici, nella possibilità di riaprire un percorso di convergenza con formazioni ambientaliste di sinistra e civiche, che non hanno fino ad oggi partecipato alla costruzione del Partito Democratico.L’originaria ispirazione dell’Ulivo non può essere rimossa, nè vivere solo in una chiave evocativa, perchè non è infatti esaurita la questione sostanziale dell’incontro fra tutte le culture, le esperienze politiche e progressiste ancora oggi divise. E, tuttavia, questo non può essere un compito esaustivo; si deve accompagnare all’esigenza di riconoscere l’autonomia e la responsabilità di altre forze del Centrosinistra e dell’opposizione e di tracciare i primi passi politici per una riorganizzazione del campo dell’alternativa. Da soli non si può fare nulla.La vocazione maggioritaria del PD non può lasciare immaginare un ruolo esclusivo, va interpretata invece come capacità di presentare un progetto aggregante di governo del Paese e come responsabilità primaria nella costruzione di alleanze per una prospettiva politica di alternativa. Credo che il quadro di alleanze non sarà predefinito dal nostro congresso; deriverà da un percorso politico e programmatico e il primo grande ambito nel quale delimitare e proporre il confronto è quello della democrazia: istituzioni, regole, meccanismi elettorali. La curvatura populista, quando non plebiscitaria, con cui Berlusconi sta caratterizzando la Destra italiana, dov’è che prende consistenza? Prende consistenza, oltre che in meccanismi impari di comunicazione, in un’ibridazione di fatto fra modello presidenziale e modello parlamentare, una sorta di continuum fra Governo e Parlamento che la legge elettorale attuale ha reso agevole.Qui c’è una pericolosa deriva, che va interrotta, sia con una moderna legislazione antitrust nel campo della comunicazione, sia con una coerente riforma istituzionale ed elettorale. Ora, per un paese a democrazia matura, la scelta non può che essere fra struttura parlamentare e struttura presidenziale, ciascuna con i suoi contrappesi.Tenendo conto delle caratteristiche nostre, del sistema politico italiano, della nostra tradizione, noi scegliamo un modello parlamentare rafforzato e razionalizzato. E questo comporta, secondo proposte già avanzate in sedi culturali, in sedi parlamentari, un irrobustimento dei poteri dell’Esecutivo e del Premier e un irrobustimento delle forme di controllo del Parlamento, anche rivisitando i regolamenti. E la legge elettorale dovrà essere coerente con la forma di governo, dovrà evitare quindi ogni ritorno al proporzionalismo puro e perseguire un buon equilibrio fra rappresentanza, stabilità, governabilità, muovendosi nell’ambito di un bipolarismo nel quale l’elettore pretende di avere visibilità del quadro di alleanze e della loro stabilità. Questo equilibrio si può ottenere attraverso sistemi misti, ma la chiave politica è questa: la misura di questo equilibrio dovrà essere ricercato dialogando con tutte le forze politiche e parlamentari interessate a opporsi ai rischi di deformazione della democrazia, insiti nel modello della destra.Quello che è essenziale è la valorizzazione massima del rapporto fra eletti ed elettori, un rapporto che è devastato dall’attuale legge elettorale e che può essere ristabilito riaffermandolo in particolare attraverso i collegi territoriali. Siamo interessati a ricercare per le vie parlamentari un percorso di riforma delle istituzioni, della legge elettorale, dei regolamenti e contribuiremo a questo percorso promuovendo un confronto con le forze di opposizione dentro e fuori il Parlamento.E a questo grande ambito della democrazia noi dobbiamo affiancare anche la ricerca di una convergenza politica e programmatica sui temi economici e sociali, perché l’esigenza di proporre soluzioni sulle concrete condizioni di vita dei cittadini è percepita ampiamente oggi, quindi il PD promuove la centralità di questi temi, e chiede a tutte le forze d’opposizione un confronto e una iniziativa comuni, a partire dalle questioni cruciali della crisi. E qui c’è un punto importante. Credo che il PD debba esprimere la cifra della sua opposizione alla Destra, saldando la questione democratica, la questione economica e sociale. Perché privilegiando nella battaglia di opposizione un solo aspetto della crisi italiana, si rischia di assumere un ruolo minoritario o di denuncia impotente.L’opposizione che serve è quella che, caratterizzandosi con nettezza e senza ambiguità, lascia intravvedere la costruzione progressiva di una nuova prospettiva di governo, sia dal lato dei contenuti, sia dal lato della costruzione di uno schieramento alternativo e già nelle prossime elezioni regionali si dovranno sperimentare su basi programmatiche larghi schieramenti di centrosinistra, alleanze democratiche di progresso alternative alla destra.Le cose che ho detto fin qui sono una linea, non sono naturalmente la Bibbia. Io intendo mettere le cose che ho detto ed altre in un circuito che consenta di raccogliere lungo tutto il percorso congressuale i contributi, gli affinamenti, gli arricchimenti sia nel percorso interno al partito, sia nei circuiti della rete. Perché su un asse coerente questi contenuti, si devono migliorare, (credo che abbiamo il modo, in questa lunga vicenda derivata da uno statuto un pò farraginoso e barocco, di arrivare ad una partecipazione attiva di tantissima gente.Ci organizzeremo per ricevere contributi anche sui contenuti. Così come faremo anche per la parte che riguarda il tema del partito.La questione che ci si è posta nei mesi scorsi, secondo me, non è se essere un partito vecchio o un partito nuovo, ma se essere o no un partito. Se essere o no un’associazione volontaria, che avendo una ragione sociale, si dà un’organizzazione, un radicamento, dei luoghi di discussione politica effettiva, di partecipazione efficace degli aderenti, nonché una disciplina liberamente accettata e condivisa. Tutto questo non può essere risolto semplicemente ovviandolo con meccanismi di leadership mediatica o comunicativa, nè con meccanismi che garantiscano il semplice assorbimento della società così come essa si presenta.(Quasi fossimo un’idrovora e l’idrovora poi gira nei due sensi, secondo come la registri: o assorbi tu la società, o ti assorbe lei. Ma non fa molta differenza.)Il mancato chiarimento di questi punti fondamentali ha fortemente indebolito il nostro progetto, disperdendo energie, incentivando frammentazioni e, diciamolo pure, provocando delusione e ripiegamento sia di chi immaginava delle forme di condivisione, di militanza più tradizionali, sia di chi si attendeva una forte innovazione che, comunque, garantisse una partecipazione politica.Quindi, dico che è urgente correggere la costituzione formale e materiale del Partito Democratico; è urgente innanzitutto prendendo sul serio il nome che ci siamo dati. Propongo concretamente e precisamente queste essenziali direzioni di cambiamento: il Partito Democratico è un partito di iscritti e di elettori. La sovranità appartiene agli iscritti che, sulla base di regole, la delegano in determinate occasioni agli elettori.Quindi agli iscritti è riconosciuta una serie di diritti fondamentali, anche con strumenti incisivi come il referendum, e il radicamento organizzativo sul territorio, nei luoghi di studio, nei luoghi di lavoro è la condizione effettiva di un’apertura efficace agli elettori. Credo di dover ribadire – mi sono attribuite sciocchezze a questo proposito – il valore democratico delle primarie fra gli elettori, per le scelte dei candidati alle cariche monocratiche: sindaci, presidenti di provincia e regione e presidente del consiglio. E aggiungo che le primarie non possono essere semplicemente una procedura elettorale, ma un’occasione per costruire forme anche parziali di partecipazione, di coinvolgimento, di relazione organizzata fra partito ed elettori. Aggiungo anche che le primarie dovranno svolgersi nell’ambito delle coalizioni di cui il PD fa parte, perchè la scelta delle candidature rappresentative del PD nelle primarie deve essere determinata con metodo democratico dagli iscritti e dagli organismi del PD. Il Partito Democratico è un partito nazionale organizzato su basi federali, ma bisogna capire che cosa vuol dire. Ha radici nel territorio, seleziona lì le sue classi dirigenti, attribuisce e garantisce a scala territoriale le fondamentali risorse. Il finanziamento derivato da rimborsi elettorali per elezioni regionali, del tesseramento, delle feste, contributi dagli amministratori dovranno essere destinate ai circoli e alle organizzazioni provinciali e regionali. E una parte del finanziamento elettorale nazionale europeo dovrà essere destinato ogni anno a progetti di radicamento del partito nella società, laddove siamo più deboli.Aggiungo anche che la rappresentanza politica dovrà tenere conto, secondo me, stabilmente della dimensione territoriale. Quindi, nel rispetto del pluralismo congressuale, ogni organo dirigente dal livello provinciale a quello nazionale per la metà deve essere formato da rappresentanti designati dai livelli sottostanti.E gli organi dirigenti dovranno avere una dimensione numerica tale da consentire un’effettiva discussione politica e delle deliberazioni consapevoli, perché quando si è in troppi nessuno decide nulla e poi si decide in tre. Questo bisogna dirlo, e correggerlo!Inoltre, noi dobbiamo fissare che, qualunque sia il sistema elettorale per il parlamento nazionale, la grande maggioranza delle candidate e dei candidati dovrà essere determinata dai livelli territoriali con metodo democratico. Se facciamo così, allora io credo davvero che lo scorrimento fra esperienze territoriali e nazionali sarà il meccanismo fisiologico con cui procedere alla selezione delle classi dirigenti e al loro rinnovamento anche generazionale. Altrimenti, non ci si riesce, si fa solo cooptazione. Questa è la mia profonda convinzione.Il Partito Democratico, per definizione, è pluralista. Il pluralismo deriva dai confronti congressuali. Il partito persegue la parità di genere. Il pluralismo si esercita in forme tali da garantire l’espressione univoca delle posizioni del partito. E ciò significa, fatta ovviamente salva la più larga libertà di espressione e la piena partecipazione al dibattito interno al partito, ai gruppi consiliari e parlamentari, l’accettazione del principio di maggioranza e del vincolo alla posizione comune nelle sedi istituzionali.Le eccezioni a questo principio, perché sicuramente ci sono delle eccezioni, devono essere espressamente previste da un organismo di garanzia di rango statutario.Credo che il partito sia anche un’associazione culturale, che promuove cultura politica, che si alimenta nella ricerca e nel dibattito critico e che vive in una osmosi col vasto, articolato mondo dell’intellettualità democratica. Quindi il partito deve produrre una lettura critica della società, produrre formazione, vivere un rapporto attivo con le forze intellettuali. Non possiamo spendere tutti i soldi che abbiamo in comunicazione; bisogna che li spendiamo un pò anche in analisi, in ricerca, in aggiornamento culturale.Abbiamo risorse enormi, organizzate in associazioni e fondazioni con cui avere un rapporto anche stabile. E dico anche che il partito è anche una comunità di persone, di donne, di uomini e deve produrre una socializzazione a modo nostro. Quindi, per me, le iniziative a dimensione popolare, le feste, sono una parte costitutiva dell’attività di partito.Non vedo per quale deviazione mentale la promozione di nuovi strumenti di comunicazione da incoraggiare senza titubanze dovrebbe contraddire questo assunto. Non vedo perché. Il PD si deve dare forme organizzate, flessibili, temporanee, permanenti, associative per garantire rapporti con le organizzazioni sociali, del lavoro, dell’impresa, dei consumatori, del volontariato e questo deve avvenire ad ogni livello dell’organizzazione.E il partito deve organizzare la rete comunicativa dal basso verso l’alto, ogni sede deve essere un nodo della grande rete on line del partito. Poi la cosa essenziale: il partito deve avere la massima cura, ad ogni livello, della sua autonomia politica. Credo che questo sia un punto dirimente. Ad ogni livello si devono determinare le condizioni di questa autonomia, che a volte sono condizioni di tipo anche materiale-organizzativo.Ad ogni livello il ruolo di direzione del partito e di leadership istituzionali deve esser tenuti distinti. Non deve, in premessa, esistere automatismo fra ruoli di direzione del partito e candidature a compiti istituzionali. Sulla base di queste essenziali indicazioni, credo abbastanza precise, (e altre ne potrei produrre,) io dico che si deve procedere con immediatezza alle modifiche allo statuto, alla revisione degli assetti organizzativi degli organismi di direzione politica, e dell’attribuzione delle risorse finanziarie.Quando mi capitò, venti mesi fa, di definire partito liquido il rischio che avevamo davanti, mi si volle descrivere come un partitista vecchio stile, pronto a fare la riedizione di una specie di primato del partito. Era esattamente il contrario e forse ora lo si può capire meglio. Un partito non è mai un fine, è un mezzo, è uno strumento per promuovere cambiamenti utili alla vita collettiva; (come avviene per ogni associazione, la nostra ragione sociale è fuori di noi.)La ragione sociale del partito è il Paese e se vogliamo essere utili al Paese dobbiamo essere un partito che funziona, che crea solidarietà ed appartenenza e che traduce la partecipazione in iniziativa esterna, senza farla girare su se stessa. Questo è molto semplicemente quello che penso e quello su cui voglio confrontarmi.Ho finito cari amici e compagni. Ho cercato di metterci poca retorica e un pò di chiarezza. Spero di esserci riuscito. Dicevo all’inizio che in questo momento serve la testa. Concludendo, voglio dirvi però che ci vuole anche il cuore, ma il cuore non deve battere tanto per il leader o per il partito.Mentre guardiamo avanti, ricordiamoci per un attimo, non solo delle responsabilità enormi che abbiamo nel futuro, ma anche di quelle che abbiamo rispetto al passato. Centocinquant’anni nei quali tanta gente, pronunciando le nostre stesse parole, le ha pagate ad un prezzo ben più alto del nostro.Dico che se andassimo nel futuro senza sentire questo legame, saremmo come astronauti persi nello spazio. Il cuore deve battere soprattutto per l’antica e modernissima idea che questo mondo e questo paese possono essere davvero concretamente un pò più umani e un pò più giusti.Io dico che chi ci crede è giovane e che è vecchio chi non ci crede più.

PIERLUIGI BERSANI A SALERNO SABATO 19 SETTEMBRE ALLE ORE 11.00 AL GRAND HOTEL SALERNO

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